a cura di Sara Filippelli
Ciao a tutti! Da zero a cinque quanto vi piace camminare?
Per noi di Relational Design è iniziata così l’avventura di #Milanogram, un modulo itinerante che ci ha portato a dare forma e significato allo spazio urbano di Milano. Come? Partendo da una serie di riferimenti concettuali e una serie di esercitazioni pratiche per poi arrivare al workshop, una vera e propria circumnavigazione durata tre giorni e due notti lungo un percorso ben definito dentro e fuori la città.
Durante il viaggio ogni studente ha tenuto il suo diario – sviluppato attraverso una serie di frammenti video – e costruito un atlante online aperto, condiviso, visivo, in grado di raccontare situazioni che molto spesso sfuggono a qualsiasi costruzione di senso. Dove invece il senso noi lo abbiamo trovato: camminando dal 22 al 24 Aprile 2016 per 40 km a piedi; 36 ore no-stop, 9 video prodotti, zaini, mantelline, scarponcini, equipaggiamenti vari, molte occhiaie ma tanto cuore.
Milanogram è stato un viaggio in primis interiore – grazie a letture come “Walkscapes” di Francesco Careri, “La passeggiata” di Robert Walser, il film “Uccellacci e Uccellini” di Pier Paolo Pasolini, “Lisbon Story” di Wim Wenders, il sito-archivio di Joshua Edwards “Architecture for travellers” e molto altro ancora – e in secondo luogo di relazione: con il nostro gruppo di viaggiatori, con le persone che abbiamo incontrato durante il viaggio e nelle situazioni conviviali, con le persone che ci hanno seguito dal remoto mondo del 2.0.
Personalmente parlando, è stata unʼesperienza forte che mi ha insegnato nuovamente a osservare lo spazio perdendomi. Come afferma Walter Benjamin «Not to find oneʼs way in a city means little, but to lose oneself in a city as one loses oneself in a forest requires practise… Then the street names must call out the wanderer like the snapping of dry twigs, and the small streets of the city-centre must reflect the time of day as clearly as the mountain hollow».
A ben pensare, i tre giorni di deriva situazionista nellʼepoca dei social mi sono sembrati un mese intero per la densità di esperienze e di incontri fatti durante #Milanogram: partire dallʼExpoGate in Largo Cairoli con tende, sacchi a pelo e zaini in spalla; camminare guardando la città in ogni suo minimo e sfuggevole particolare; passare dal quartiere cinese e meravigliarsi di quanto sia così diverso ed escluso rispetto al resto della città; sdraiarsi a fare video in mezzo alle piazze per seguire lʼonda dellʼimmaginazione; arrampicarsi in posti improbabili per cogliere un segno del paesaggio urbano; confrontarsi, chiacchierare e ridere con i componenti del gruppo; darsi una mano nei momenti di difficoltà; creare relazioni dentro e fuori, fuori e dentro; trovarsi ospiti in una meravigliosa cascina recuperata – CasciNet – e cenare coi deliziosi prodotti del territorio; accendere un fuoco e scaldare ancora le relazioni; dormire in tenda e ridere, ridere, ridere con i compagni di viaggio; svegliarsi la mattina presto; conoscere gente nuova e sentire le loro storie in mezzo a tante altre storie; provare tristezza perché non si vuole lasciare un posto dove vorremmo restare ancora un po’; sentire dolore ai piedi; medicarsi i calli; attraversare le stazioni senza dover partire da-a nessun posto; perdersi per soffermarsi sui cocci di una strada-discarica a cielo aperto; sbandierare figurini di ogni tipo per creare collage immaginari; registrare i suoni del mondo; trovarsi allʼimprovviso nella meravigliosa pace di un’abbazia e capire che alle volte il tempo si ferma anche a Milano; camminare tra la campagne ed incontrare improbabili processioni religiose sullo sfondo di palazzi in costruzione; prendersi un tempo lento per immagazzinare ogni cosa che proviene dai nostri cinque sensi, dal nostro contatto con il mondo esterno; innamorarsi del Bosco Urbano e ringraziare la natura; avvicinarsi alla città e godere dellʼarchitettura; perdersi nei profumi di una primavera in esplosione; trovare poesie di amore abbandonate in un prato; dormire al Camping Milano e scoprire che hanno una piccola fattoria con pavoni, ciuchi e capre; mangiare una pizza fredda ed essere soccorsi dal professore del primo modulo, Gianni Romano, che ci porta i pasticcini; avere i piedi sempre più doloranti e le gambe stanche; ripartire la mattina seguente con un nuovo compagno di viaggio: un inglese in Italia per qualche giorno che decide di seguirci negli ultimi km della nostra derivazione; rientrare sempre più lentamente nella città ma sentirla in maniera diversa; farsi permeare dalla confusione, dal traffico, dagli italiani e dagli stranieri; perdersi nei muri tenuti vivi dalla street art; perdere quasi un polmone scalando il Monte Stella ma sentirsi così tanto bene in alto; relazionarsi in sempre più relazioni relazionali; capire che anche i sassi hanno la loro importanza e che niente viene costruito per caso; sentirsi stanchi ma sempre pronti ad esplorare, camminare, scoprire, spulciare, disconnettersi e riconnettersi; mettersi intorno a un tavolo per parlare delle nostre impressioni e non sapere cosa dire per la troppa pienezza di emozioni; sentirsi diversi, in qualche modo maturati nellʼaver raccontato una città facendoci rapire dalle sue dinamiche e immaginandola.
Innamorarsi di Milano come si fa di un amico che conosci da sempre ma che non hai mai voluto vedere.