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Yulya Besplemennova: Hybrid spaces, hyperconnections and how to be successful in nowadays design

Yulya Besplemennova  works as an independent designer and consultant in the field of service and system design, with the special interest in the topic of hybrid space (social spaces existing both in physical and digital realms) and intersecting fields of urban spaces design, community engagement and interactions with technology.

Yulya tell us something more on you and the projects you are working on at the moment

What I do in practice is the user research and engagement, facilitation of co-design processes, communication strategies, service design and general user-centered design consulting applied to various fields. The main project for which I collaborate now is Routes.tips – a user generated content platform to share and improve traveling experiences. Together with Routes Software we also work on other projects like Bergamo Quest and upcoming app with the Augmented Reality technology for the mountains navigation.

Besides that as a part of Interstellar Raccoons I explore the world of transmedial speculative design storytelling for design which goes beyond problem-solving, but into field of strategic context redefinition. And with my latest initiative ZaryaLAB I engage into observation and research of important changes in the spatial organisation and interactions within society brought by the new media and technologies.

As most of all I like learning new things, I also know that it happens much faster when teaching which I consider one of the main directions of my professional development. So I was very happy to be co-tutoring the past Relational Design editions modules and Ceramic Futures 2 and 3 with Politecnico di Milano students.

In your experience as designer, how relational aspects have influenced design processes?

As most of the projects I work on are about networks/collectives/communities of people interacting between themselves, with spaces or technologies, relational aspects are the most important in my work. I have to say that it wasn’t easy in the beginning to understand how to deal with it though, even if I passed the course of services and networks in Polimi, real relational design turned to be much more complex and deep issue to which at first I found myself unprepared.
It was especially evident with #nevicata14 project – a temporary configuration of the pedestrian Piazza Castello in Milan during EXPO-2015, which we approached not just as an architectural project, but a project of the creation of the new place and identity for it mostly in the mind of the citizens. We had to overcome the resistance and the past notion of this space as a road for cars and bring them to see new possibilities of use for it. So the project turned from the architectural installation into the public communication one. But it was very difficult for me as I found myself in need of skills and tools I never had to apply during previous years of studying design. I had to work not as an executioner of some design decisions but as a coordinator of the ongoing immaterial process which at first seemed as not a designer’s work, but instead that was exactly what designer should do nowadays. If you want to learn more about it I have written about my perspective in the blog

What is relational design for you?

Relational design for me is the proper name of design we need nowadays, choosing to emphasize the importance of relational aspects of work. First of all because we cannot go on reducing design to functional or aesthetical problem-solving, Artificial Intelligence is coming after us and will be able to do it all better very soon with the current advances in machine learning. But it will never be able to fully comprehend the complexity of human and their relation to the world around.

Another point is that we live in times when relations between objects or subjects get evidently more important than objects and subjects themselves – it is the relations between users of Facebook or Linkedin, or any other platform, that creates value to the whole network and the platform owners, not the profiles themselves: fully filled in profile of a person that’s not actively engaging with others is worth very little. And this is just an example of the digital social network, but in fact all our life in the hyperconnected world works like that nowadays. Relational design is the design that looks exactly at this aspect and knows how to operate with this real source of value.

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Milanogram – Diario di viaggio

a cura di Sara Filippelli

Ciao a tutti! Da zero a cinque quanto vi piace camminare?

Per noi di Relational Design è iniziata così l’avventura di #Milanogram, un modulo itinerante che ci ha portato a dare forma e significato allo spazio urbano di Milano. Come? Partendo da una serie di riferimenti concettuali e una serie di esercitazioni pratiche per poi arrivare al workshop, una vera e propria circumnavigazione durata tre giorni e due notti lungo un percorso ben definito dentro e fuori la città.

Durante il viaggio ogni studente ha tenuto il suo diario – sviluppato attraverso una serie di frammenti video – e costruito un atlante online aperto, condiviso, visivo, in grado di raccontare situazioni che molto spesso sfuggono a qualsiasi costruzione di senso. Dove invece il senso noi lo abbiamo trovato: camminando dal 22 al 24 Aprile 2016 per 40 km a piedi; 36 ore no-stop, 9 video prodotti, zaini, mantelline, scarponcini, equipaggiamenti vari, molte occhiaie ma tanto cuore.

Milanogram è stato un viaggio in primis interiore – grazie a letture come “Walkscapes” di Francesco Careri, “La passeggiata” di Robert Walser, il film “Uccellacci e Uccellini” di Pier Paolo Pasolini, “Lisbon Story” di Wim Wenders, il sito-archivio di Joshua Edwards “Architecture for travellers” e molto altro ancora – e in secondo luogo di relazione: con il nostro gruppo di viaggiatori, con le persone che abbiamo incontrato durante il viaggio e nelle situazioni conviviali, con le persone che ci hanno seguito dal remoto mondo del 2.0.

Personalmente parlando, è stata unʼesperienza forte che mi ha insegnato nuovamente a osservare lo spazio perdendomi. Come afferma Walter Benjamin «Not to find oneʼs way in a city means little, but to lose oneself in a city as one loses oneself in a forest requires practise… Then the street names must call out the wanderer like the snapping of dry twigs, and the small streets of the city-centre must reflect the time of day as clearly as the mountain hollow».

A ben pensare, i tre giorni di deriva situazionista nellʼepoca dei social mi sono sembrati un mese intero per la densità di esperienze e di incontri fatti durante #Milanogram: partire dallʼExpoGate in Largo Cairoli con tende, sacchi a pelo e zaini in spalla; camminare guardando la città in ogni suo minimo e sfuggevole particolare; passare dal quartiere cinese e meravigliarsi di quanto sia così diverso ed escluso rispetto al resto della città; sdraiarsi a fare video in mezzo alle piazze per seguire lʼonda dellʼimmaginazione; arrampicarsi in posti improbabili per cogliere un segno del paesaggio urbano; confrontarsi, chiacchierare e ridere con i componenti del gruppo; darsi una mano nei momenti di difficoltà; creare relazioni dentro e fuori, fuori e dentro; trovarsi ospiti in una meravigliosa cascina recuperata – CasciNet – e cenare coi deliziosi prodotti del territorio; accendere un fuoco e scaldare ancora le relazioni; dormire in tenda e ridere, ridere, ridere con i compagni di viaggio; svegliarsi la mattina presto; conoscere gente nuova e sentire le loro storie in mezzo a tante altre storie; provare tristezza perché non si vuole lasciare un posto dove vorremmo restare ancora un po’; sentire dolore ai piedi; medicarsi i calli; attraversare le stazioni senza dover partire da-a nessun posto; perdersi per soffermarsi sui cocci di una strada-discarica a cielo aperto; sbandierare figurini di ogni tipo per creare collage immaginari; registrare i suoni del mondo; trovarsi allʼimprovviso nella meravigliosa pace di un’abbazia e capire che alle volte il tempo si ferma anche a Milano; camminare tra la campagne ed incontrare improbabili processioni religiose sullo sfondo di palazzi in costruzione; prendersi un tempo lento per immagazzinare ogni cosa che proviene dai nostri cinque sensi, dal nostro contatto con il mondo esterno; innamorarsi del Bosco Urbano e ringraziare la natura; avvicinarsi alla città e godere dellʼarchitettura; perdersi nei profumi di una primavera in esplosione; trovare poesie di amore abbandonate in un prato; dormire al Camping Milano e scoprire che hanno una piccola fattoria con pavoni, ciuchi e capre; mangiare una pizza fredda ed essere soccorsi dal professore del primo modulo, Gianni Romano, che ci  porta i pasticcini; avere i piedi sempre più doloranti e le gambe stanche; ripartire la mattina seguente con un nuovo compagno di viaggio: un inglese in Italia per qualche giorno che decide di seguirci negli ultimi km della nostra derivazione; rientrare sempre più lentamente nella città ma sentirla in maniera diversa; farsi permeare dalla confusione, dal traffico, dagli italiani e dagli stranieri; perdersi nei muri tenuti vivi dalla street art; perdere quasi un polmone scalando il Monte Stella ma sentirsi così tanto bene in alto; relazionarsi in sempre più relazioni relazionali; capire che anche i sassi hanno la loro importanza e che niente viene costruito per caso; sentirsi stanchi ma sempre pronti ad esplorare, camminare, scoprire, spulciare, disconnettersi e riconnettersi; mettersi intorno a un tavolo per parlare delle nostre impressioni e non sapere cosa dire per la troppa pienezza di emozioni; sentirsi diversi, in qualche modo maturati nellʼaver raccontato una città facendoci rapire dalle sue dinamiche e immaginandola.

Innamorarsi di Milano come si fa di un amico che conosci da sempre ma che non hai mai voluto vedere.

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