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Allargare i propri orizzonti e uscire dalla comfort zone grazie al Programma Erasmus+: intervista ad Alice Biagi

«Dopo la laurea in Architettura all’Università di Trieste, mi sono ritrovata a non saper bene da che parte andare, cosa fare e da dove cominciare. Ho lavorato per un periodo in uno studio di architettura che ho scoperto starmi un po’ strettoHo sempre trovato affascinante osservare come le persone interagiscono, come si intrecciano, come si legano; e per quanto siano temi che interessano la sfera “architettura”, spesso non vengono presi in considerazione da chi lavora in questo settore. Per questo ho cominciato a guardarmi attorno e cercare un’altra strada, provando a crearne una mia. Sono una persona metodica e razionale, ma con una vena creativa che ogni tanto ha il sopravvento, e la voglia continua di scoprire cose nuove.»

Come ti sei avvicinata al master e perché hai deciso di intraprendere questo percorso?
Sorrido sempre quando mi fanno questa domanda, perché in realtà è successo totalmente per caso, mentre cercavo su internet cosa fare della mia vita. Avevo scelto delle parole chiave per individuare dei possibili percorsi di studio (glocal, comunicazione, comunità…) e uno dei primi risultati è stato proprio il Master Relational Design. L’ho interpretato come un segno e nel giro di qualche giorno mi sono iscritta. Mi stimolava molto l’idea di un percorso itinerante: diverse città, diversi docenti e diversi argomenti. Credo che sviluppare conoscenze in vari settori oggi sia di fondamentale importanza perché permette di approcciarsi ad altri professionisti (e non) con maggiore consapevolezza, avendo una visuale e un campo d’azione più ampi.

Grazie al programma Erasmus+ hai avuto la possibilità di svolgere all’estero il tirocinio del master. Cosa ha significato per te questa esperienza?
Tanto. Sicuramente.
Avevo già vissuto un’esperienza Erasmus, a Valencia durante la triennale, ma questa volta è stato totalmente diverso, innanzitutto perché è stata un’esperienza lavorativa… e poi perché (forse) sono più matura rispetto a quattro anni fa.
Il traineeship in Slovenia ha significato molto per vari motivi. A livello personale sentivo il bisogno di mettermi alla prova, nel dover parlare un’altra lingua e nel dovermi confrontare con persone nuove e una realtà diversa da quella a cui ero abituata, nonostante fossi comunque vicino a casa. A livello lavorativo è stato molto costruttivo: da PiNA, l’organizzazione non governativa che mi ha ospitata, spesso non sembra esserci una scala gerarchica, quindi fin da subito mi sono stati affidati responsabilità e progetti (per quanto piccoli) da seguire quasi in toto. Questo mi ha aiutata a spingermi oltre ai miei limiti… proprio quello che cercavo. In più ho conosciuto persone fantastiche che mi hanno fatta crescere, dei mentors che non si sono limitati ad essere delle figure “burocratiche” come da contratto, ma hanno realmente voluto regalarmi del tempo e condividere con me le loro esperienze, dandomi delle preziose lezioni di vita che nel tempo ho fatto mie.


Uno dei progetti a cui ho collaborato è Narišimo Obalo – Drawing the Coast, un intervento di cittadinanza attiva e di gestione partecipativa del territorio. Abbiamo iniziato all’alba stendendo lungo il percorso 2 km di carta bianca e abbiamo finito alle 9 di sera raccogliendo 750 mt di disegni realizzati da bambini e persone di ogni età. L’evento ha permesso, attraverso la scrittura e il disegno, di progettare il futuro della strada costiera cha va da Capodistria a Isola.

Consiglieresti l’Erasmus+ Traineeship ai futuri studenti?
Assolutamente sì, indipendentemente dall’indole o dal carattere credo sia un’esperienza fondamentale per allargare i propri orizzonti, riuscire a vedere le cose da diversi punti di vista e costruirsi un bagaglio di competenze ad ampio spettro. Un’esperienza Erasmus insegna ad adattarsi alle diverse situazioni, ad essere resilienti in questo mondo incasinato, soggetto a cambiamenti repentini in cui a volte possiamo sentirci persi. Quindi sì, lo consiglio, anche perché non capita tutti i giorni di poter andare all’estero ricevendo una borsa di studio, una sorta di  piccolo “aiuto da casa”.

PiNA, Koper. Foto: Ales Rosa

Ora che sei quasi al termine del percorso, cosa ti ha lasciato il master? E come ti ha ispirata per i tuo progetti?
Ha aumentato in me la voglia di scoprire cose nuove, sempre e comunque, di non fermarmi nella zona di comfort in cui si sta comodi ma si è statici, di provare sempre a vedere cosa c’è oltre. Un po’ come quando durante il corso di Design Narrativo abbiamo oltrepassato la recinzione attorno a Isola Bella scoprendo che sapeva essere davvero ‘bella’!
Quest’anno è stato una continua scoperta, il modo di porsi dei docenti e i temi su cui abbiamo lavorato personalmente mi hanno dato molto. A prescindere dal non indifferente network che ti puoi creare, ho avuto la possibilità di vedere dall’interno il funzionamento di realtà molto conosciute come Internazionale, ma anche come sono nate, i valori e la forza rivitalizzante di altre più piccole, come Suq. magazine.

Che progetti hai per il futuro?
Attualmente sto continuando a lavorare da PiNA, principalmente come graphic designer. Quando lo scorso gennaio mi è stato chiesto se volessi rimanere quasi non ci credevo!
In più sto sviluppando un progetto assieme ad altri ragazzi per creare una Civic Factory a Trieste, uno spazio in cui generare cultura, un luogo di aggregazione aperto a tutti per creare, sperimentare ed essere attivi! E siccome sono argomenti pertinenti al master, ho deciso di sviluppare parte di questo progetto come tesi, sotto la supervisione di Andrea Paoletti, andando a ricercare delle possibili strategie per attivare uno spazio del genere in una città come Trieste.

Il Degree Show del Master Relational Design si terrà venerdì 11 ottobre 2019 ad ABADIR – Accademia di Design e Arti Visive. Vieni a scoprire il progetto di Alice!

La nuova edizione del master inizia il 1° ottobre:
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Alice durate il workshop di Editoria Creativa del Master Relational Design

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Plebiscito o Pebliscito, un museo diffuso contro i pregiudizi e le disuguaglianze sociali. Intervista a Giovanna Vinciguerra

Può un quartiere popolare diventare il polo artistico e culturale della città? Ci ha provato Giovanna Vinciguerra – studentessa della sesta edizione del Master Relational Design – col progetto di tesi “Plebiscito o Pebliscito?“, che ha trasformato per un giorno le botteghe di San Cristoforo, a Catania, in piccole gallerie d’arte.

Com’è nata l’idea di un museo diffuso a San Cristoforo?
Il progetto nasce da un’esigenza personale. Sono nata e cresciuta a San Cristoforo e spesso, nonostante i miei studi, mi sono sentita giudicata a causa della mia provenienza. Di questo quartiere, conosciuto più per essere una zona di “malaffare”, volevo restituire un’immagine diversa, lontana dagli stereotipi. Ai pregiudizi volevo contrapporre i valori di una comunità ancora oggi legata agli antichi mestieri che vengono portati avanti nelle piccole botteghe che costellano San Cristoforo. Volevo far conoscere il mio quartiere per come l’ho vissuto e per farlo mi sono servita dell’arte: 70 opere sparse nei piccoli esercizi commerciali e la possibilità di fruirle per chiunque volesse. Il corso “Pratiche Relazionali nell’Arte” tenuto da Gianni Romano – che è stato anche il relatore della mia tesi –è stato certamente un ottimo punto di partenza.

L’allestimento

Arte in bottega: il quartiere come vetrina per le opere o il contrario?
Il limite tra contenuto e contenitore era labile: non più l’opera al centro della mostra, ma gli odori, i colori e le atmosfere stesse di San Cristoforo. L’arte è divenuta il mezzo attraverso cui far conoscere l’anima del quartiere, abbattere i pregiudizi e avvicinare la gente di strada alla cultura e, dall’altra parte, la gente di cultura alla strada.

Cosa intendi quando parli di arte come interstizio sociale?
In questo caso l’atto artistico non è racchiuso nel gesto creativo dell’artista, bensì nelle reazioni che ha provocato. L’opera non è più un un oggetto ma si identifica in una dimensione fuori dal tempo e dallo spazio in cui sono le relazioni a rappresentarla.

I commercianti del quartiere e le opere

Quali sono stati gli effetti dell’arte relazionale sulla comunità?
In un primo momento i commercianti si sono mostrati restii a ospitare dentro i loro negozi delle opere – forse perché non volevano assumersi così tante responsabilità oppure perché volevano evitare l’impiccio di dover accogliere per l’intera giornata un pubblico diverso dai soliti acquirenti. Eppure al momento del disallestimento erano dispiaciuti e avrebbero voluto tenerle ancora un po’. Nonostante si trattasse di pezzi di arte contemporanea, la comunità ha dato prova di apertura e ricettività nei confronti di istanze lontane dalla consuetudine o, più semplicemente, dalla vita del quartiere.

Quanto è stato importante tessere relazioni per portare a compimento il tuo progetto?
La prima parola su cui si è basato il progetto è stata “fiducia”. Le relazioni hanno avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione di “Plebiscito  o Pebliscito” e non si sono sviluppate su un unico piano, ma su tre livelli: con la comunità, gli artisti e il pubblico. All’inizio non è stato facile: come ho già detto, per prima cosa ho dovuto convincere i commercianti; poi gli artisti, che si sono mostrati impauriti dal contesto in cui sarebbero state esposte le opere e restii a prestarle senza nessun tipo di assicurazione. Per ultimo il pubblico, che in alcuni casi ha storto il naso quando ha saputo che la mostra itinerante si sarebbe svolta nel quartiere di San Cristoforo, come a evidenziare che neanche l’arte può sconfiggere il pregiudizio. Eppure, nonostante tutto, a giochi fatti le reazioni su tutti i fronti si sono svelate molto diverse. I commercianti erano entusiasti e dispiaciuti di dover salutare così presto le opere, che per un giorno avevano abitato le loro botteghe; gli artisti e il pubblico incuriositi e soddisfatti di aver preso parte a un evento che si era mostrato come uno squarcio di consapevolezza tra la bellezza e il degrado di ciò che non avevano mai visto o voluto vedere.

Questo progetto è stato per me motivo di grandi soddisfazioni, è stato il culmine di un percorso complesso e allo stesso tempo gratificante. Relational Design mi ha messo a dura prova ma era quello che cercavo da tempo:  è stato capace di farmi conoscere realtà, linguaggi e prospettive del tutto nuove e inaspettate.

Giovanna Vinciguerra guida i visitatori il giorno dell’inaugurazione
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Giulia Micozzi, da Monza a Palermo per tessere relazioni multiculturali

Dall’Internet of Things all’innovazione sociale; da nord a sud per una nuova esperienza formativa multiculturale: vi raccontiamo la storia di Giulia Micozzi, studentessa del Master Relational Design.

Parlaci di te: da dove vieni? E cosa ti ha spinta a frequentare il Master Relational Design?
Vengo da Monza e ho studiato Design del Prodotto Industriale al Politecnico di Milano laureandomi nel 2017. Dopo la laurea sapevo di voler continuare gli studi ma volevo fare una scelta ponderata dell’indirizzo da prendere, motivo per cui ho iniziato a lavorare a Milano, prima seguendo i progetti di un professore del Politecnico, poi da THINGS.is, un’agenzia di design specializzata in IoT. In questa fase ho scoperto grazie ai social il master, che mi ha subito interessato perché data la varietà di argomenti trattati poteva aiutarmi nella ricerca della mia strada.

Adesso che sei quasi alla fine del percorso puoi dirci cos’è per te Relational Design?
Il nome del master è autoesplicativo: relational, relazioni, inteso come creazione di network, e design, il progetto. Questo master ti fa capire l’importanza delle relazioni per la realizzazione di un progetto completo e ben fatto, soprattutto negli ambiti che vengono trattati, come l’innovazione sociale. Non possiamo fare tutto da soli, ognuno ha le sue competenze, durante questi mesi abbiamo scoperto come mischiarle e sfruttarle a vicenda. Questo sia grazie al fatto che ogni modulo insegna le basi di una disciplina diversa, sia perché gli studenti vengono da background diversi.

Da Monza ti sei trasferita a Palermo per lo stage, una scelta in controtendenza rispetto ai tuoi coetanei. Cosa ti ha spinto a farla?
Ho frequentato a Palermo il summer camp del master, Design for Urban and Social Innovation e questa città ha avuto su di me un “effetto calamita”: c’è fermento e voglia di fare, i campi d’azione possibili per progetti interessanti e socialmente utili sono moltissimi. Mi sono così guardata intorno e ho individuato una realtà in cui svolgere uno stage che mi insegnasse come muovermi nell’ambito dell’innovazione sociale: MoltiVolti, che ho conosciuto grazie ai ragazzi di PUSH. Parallelamente sto portando avanti il mio progetto di tesi, sviluppato proprio con PUSH. qui a Palermo.

Cos’è MoltiVolti e di cosa ti occupi al suo interno?

MoltiVolti è un caso-studio perfetto di progetto di innovazione sociale focalizzato sull’inclusione e l’accoglienza. Ai più è conosciuto solo come un ristorante che offre piatti che mescolano culture straniere e cucina siciliana, preparati da ragazzi e ragazze di dieci nazionalità diverse. Il ristorante serve però a mantenere tutta la parte no-profit del coworking di MoltiVolti, che offre il proprio spazio gratuitamente a realtà che trattano gli stessi temi di accoglienza e diritti umani.
Al momento mi sto occupando di comunicazione, un ambito estremamente importante per promuovere le iniziative che MoltiVolti offre alla comunità: i progetti sono vari e di vario genere – dai concerti all’organizzazione di viaggi di turismo sostenibile – e sono quasi sempre svolti insieme a altre associazioni o imprese. L’impatto che ha sulla città di Palermo è quello di trasmettere il valore dell’accoglienza e di far sì che la città diventi un luogo in cui le diversità sono percepite non come una debolezza o una paura ma come un’opportunità. Questo porta a un’integrazione delle comunità straniere facilmente percepibile stando a Palermo.

In che modo il master ti ha aiutata ad affrontare questa nuova avventura e in cosa ti ha cambiata?
Il master, in più di un modulo, mi ha dato la possibilità di conoscere diverse realtà, di capire che la creazione di coworking, reti collaborative e associazioni per il sociale è qualcosa di fattibile e più diffuso di quanto si pensi, su cui ci si sta sensibilizzando e investendo, cercando i mezzi per mantenere in vita queste imprese. Il master mi ha fatto capire che direzione dare al mio futuro, che strada prendere.

Il ristorante di MoltiVolti
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Gli studenti internazionali di Relational Design: Marília Traversim Gomes

Da São Paulo (Brasile) a Catania per studiare Relational Design e poi a Milano per un importante opportunità di stage: Marília Traversim Gomes ci ha raccontato la sua esperienza – personale e professionale – all’interno del master.


What brought you to Italy?

In 2015 I came to Italy to visit my sister, who had recently moved to Sicily. At the time I worked as an assistant-editor in a big publishing house in Brazil but I wasn’t happy with it. As the editorial market slowly collapsed, I felt that my job position was getting more and more precarious and I couldn’t see any improvement or professional growth in the near future.
The trip to Sicily came right when I was thinking about the future, forced to accept the fact that I needed a change. Like everyone else I fell in love with Sicily – with its colors, the flavors, the people, mount Etna and the sea. “This is a place where I could be happy” I remember telling my sister, who suggested that I actually came to live there for a while. And so I did: I took this big leap of faith and started over.


How did Relational Design came into the picture?
I found out about it by searching online for design courses and events happening in Sicily. At that point I already knew that I wanted to live in Catania, it was just a matter of finding something that kept me busy and inspired! I particularly liked the fact that Relational Design not only allowed me to see how design was made across the ocean, but also gave me the opportunity to travel around Italy and to experience different aspects of this culturally and historically rich country.
It was just what I was looking for and now that is almost over I can honestly say that I had a great time! I just wish it was longer… I am not ready to say goodbye.


If you had to describe Relational Design in one word, what would it be?

Dynamic. Every month is completely different from the other: new subject, new teacher, new city, new students – new everything! In every module I learned something new, met new people,  made new friends and built a deeper bond with those that were already there since the beginning of this journey.


What was your favorite moment and why?
Since I come from an editorial background, I really enjoyed visiting Internazionale and Zero. It was really interesting to observe how magazines work in a different country. On an academic level, I loved the workshops in Palermo and in Amsterdam, because I had never studied service design before and everything was new to me.


Has the master changed you in any way?
Of course, it gave me a different perspective in a lot of ways. Professionally, it showed me different ways to make good design and how to mix and match different areas of knowledge and resources. On a personal level, it allowed me to experience a very international environment and to meet a lot of different people, with backgrounds very different than mine. I was able to share a bit of my culture with my colleagues and learn a little bit of theirs. Now I can say I have friends all over Italy.


What are you doing now or what are planning on doing in the near future?
I recently moved to Milano to work as an intern at Subito.it. Before doing the master I don’t think I would have been able to get the position. Relational Design played a really important part in the interview!
I plan on continuing to work as a designer in Italy. I don’t know exactly where this adventure will take me, but I am really happy about how far I have been able to go.

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Progettare per il turismo e per valorizzare il territorio: l’esperienza di Giudita Melis

Cosa fanno gli studenti di Relational Design dopo il master?
Dopo aver svolto lo stage curriculare a Casa Netural – incubatore, coworking e coliving con sede a Matera – Giudita Melis ha deciso di fondare una realtà analoga nella sua terra, la Sardegna. L’abbiamo intervistata.

Qual è il tuo percorso accademico e come sei approdata al master?
Ho iniziato i miei studi a Cagliari, la città dove sono nata, ma dopo l’Erasmus in Francia ho capito che difficilmente sarei rimasta ferma in quel posto e ho proseguito all’Università per stranieri di Perugia, con una laurea magistrale in Lingue moderne per la comunicazione internazionale.
Ho sempre approfittato di tutte le opportunità che uno studente ha di viaggiare, lavorare, studiare all’estero per due motivi:
– Muoversi, viaggiare, cambiare ti rende estremamente ricco!
– Ho capito di avere una forte dipendenza da viaggi e non riuscivo a farne a meno.
Ho poi scoperto il Master per caso su internet, leggendo l’intervista di un’ex-studentessa. Mi ha appassionato tantissimo e ho voluto saperne di più. Sentivo il bisogno di cambiare qualcosa, di scoprire qualcosa di nuovo in me che ancora non conoscevo. E così mi sono iscritta.


Il master prevede lo svolgimento di un tirocinio: cosa ti ha portato a scegliere proprio Casa Netural?
Grazie al master ho conosciuto una serie di realtà che mi hanno affascinato tantissimo e che hanno stimolato in me molte idee. Così ho approfondito la ricerca e, dopo aver letto e riletto, Casa Netural era quella che mi sembrava più autentica, più vicina a me e ai miei desideri e soprattutto a ciò che mi ero messa in testa di creare nella mia città, Cagliari.
Entrare a Casa Netural è come entrare in un vortice da cui poi è difficile staccarsi e che anche se ti allontani mantiene sempre la porta aperta. Lì ho conosciuto delle persone fantastiche: quelle che ci lavorano, quelle che vanno solo per i pranzi o le cene, quelle che passano per un fine settimana o per mesi e che vogliono imparare l’italiano. La cosa bella è che con ognuna di loro si riesce a creare dei legami speciali e sembra davvero di far parte di una grande famiglia. È una scoperta continua, un punto d’incontro e di scambio importantissimo in una città come Matera.
Perché Matera è così, non sai quello che trovi ma poi non vorresti lasciarlo mai. Non è solo la città dei sassi, la città-presepe, quella è solo la cornice: dentro è di una bellezza ancora più disarmante.


Di cosa ti sei occupata?

A Casa Netural mi sono occupata principalmente della comunicazione, prima affiancando Samuele, il responsabile della comunicazione, e gestendo poi autonomamente alcuni progetti – nello specifico: i social del Coliving, del progetto il Quartiere ri-luce e del festival Matera Design e del progetto sperimentale di rigenerazione urbana  Wonder Grottole. Quest’ultimo è stato quello che ho portato avanti fino alla fine del mio tirocinio ed è stato davvero interessante e coinvolgente poter collaborare nel mio piccolo alla rinascita del borgo di Grottole, aver gestito quasi interamente una campagna di crowdfunding e aver imparato davvero tanto dagli errori e dalle nuove sfide che si presentavano.

 

Sei di Cagliari e attualmente vivi  a Matera: ci sono delle realtà o progetti interessanti nel campo del design o della comunicazione al sud Italia che vuoi segnalarci?
Durante la mia esperienza a Casa Netural ho avuto la fortuna di scoprire un’altra realtà, Materahub, un consorzio che opera in ambito internazionale e supporta imprese, start-up, aspiranti imprenditori, istituzioni e organizzazioni attraverso progetti europei. Sono stati la mia “seconda famiglia”, ho iniziato la collaborazione con loro occupandomi della comunicazione dei progetti europei. Un mondo nuovo da un punto di vista professionale e che mi ha sempre incuriosito e affascinato. Il loro lavoro per la comunità locale è fondamentale perché, oltre ad avere un’ampia rete europea di progetti, hanno un’estrema attenzione per il territorio, per le persone, per le idee che aiutano con tanta professionalità a portare avanti, puntando sulla voglia di fare e sulla cultura all’imprenditorialità.
I progetti interessanti a Matera sono davvero tanti, soprattutto in vista del 2019, anno in cui sarà Capitale Europea della Cultura. Vi segnalo tutti quelli affidati a varie realtà locali in co-progettazione con la Fondazione 2019, naturalmente Wonder Grottole, l’Open Design School e l’iniziativa di un gruppo di giovani lucani che vogliono attivamente lavorare per il territorio e per i più giovani, chiamato appunto Generazione Lucana.


A chi consiglieresti Relational Design?
Consiglierei il master a chi vuole mettersi in gioco e/o ripartire con qualcosa di nuovo, lo consiglierei a chi ha bisogno di nuove idee per rigenerarsi, a chi non ha avuto la possibilità di viaggiare tanto, a chi sente che quello che sta facendo non è abbastanza e ha il desiderio di rinnovarsi, a chi ha bisogno di nuovi contatti e nuove prospettive.

 

Progetti per il futuro?
E qui arriva il bello.
Dopo un percorso di scoperta, dubbi e nuovi stimoli, è arrivato il momento di agire.
Già da un po’ di tempo sto lavorando a un mio progetto di coliving/coworking ed è questo il motivo che mi ha spinto a Matera, a Casa Netural, a vivere da vicino questa realtà, conoscerne gli aspetti positivi e negativi e imparare il più possibile in modo da poter poi lavorare sul mio progetto di coliving, che sorgerà a breve a Cagliari: da settembre tornerò infatti in Sardegna per far nascere Casa Melis, il primo coliving della regione. Ho scelto di chiamarlo così come segno di riconoscenza verso Casa Netural, che mi ha arricchito sotto mille punti di vista, mi ha dato nuove conoscenze, competenze, contatti, idee, ispirazione, che mi ha fatto incontrare delle persone fantastiche che hanno davvero lasciato un segno indelebile nel mio percorso professionale e personale, e verso Raffaele Vitulli di Materahub, grande fonte di ispirazione.
Voglio mettere in pratica la mia idea di turismo: mi infastidisce lo sfruttamento, il viaggiare senza uno scopo, senza prestare attenzione al posto dove si sta temporaneamente vivendo. 
Di conseguenza mi piace l’idea che chi viene nel posto che per me è casa possa trascorrere del tempo con le persone che davvero lo conoscono, possa davvero pensare di essere parte di quella comunità per un po’. Mi piace pensare che una persona possa avere il desiderio di viaggiare in un’isola come la Sardegna non solo per scoprire quanto è trasparente l’acqua o quanto è bianca la sabbia, ma anche per sapere che esiste un paesino nell’entroterra dove si creano delle maschere fantastiche che raccontano una storia, che la maggior parte dei paesi sono abitati da persone estremamente ospitali anche se a prima vista chiuse, che Cagliari è una città bellissima anche se non puoi trovare posti come il Colosseo o i Musei Vaticani, che ci sono delle tradizioni e che non devono essere snaturate o perdute.

Vi terrò aggiornata sui progressi di questo progetto di cui sono già follemente innamorata!

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Silvana Carbone – Imparare facendo, imparare viaggiando

Chi meglio degli studenti che hanno partecipato al master può raccontarvi l’esperienza di Relational Design?
Oggi parliamo con Silvana Carbone, studentessa della seconda edizione.

Ciao Silvana,
due anni fa hai frequentato il Master Relational Design (classe 2014-2015).
Quali sono i motivi che ti hanno spinta ad iscriverti?

È già passato tanto tempo? Sembra ieri, forse perché quando ti avvicini al mondo del Relational Design poi non riesci più a non farne parte.

Mi sono iscritta a Relational Design a due anni dalla mia laurea in Ingegneria Edile – Architettura perché cercavo un punto di contatto tra comunicazione digitale / visiva e progetti a cavallo tra l’analogico e il digitale. In più ero fortemente incuriosita dal mondo delle community e della progettazione di interazioni. Avevo bisogno di rimettermi in gioco e di provare qualcosa di nuovo, di affrontare delle sfide insolite per il mio background, di conoscere persone e mondi nuovi. “Imparare facendo, e imparare viaggiando” una vera esplosione di stimoli. Sono una persona curiosa e che ama allargare la sua visione delle cose; il master non ha deluso nessuna delle mie aspettative, ritengo di esserne uscita decisamente più “ricca”.

Ci racconti cosa hai fatto dopo il master?

A poco più di un mese dalla conclusione ho fatto le valigie e da Cagliari mi sono trasferita a Bologna. Ho iniziato uno stage presso l’Ufficio Comunicazione di Alce Nero, azienda italiana leader nel campo del biologico, un posto in cui si racconta una storia – quella del cibo biologico, per l’appunto – attraverso la valorizzazione di chi lo fa, di chi lo produce e di chi crede nei valori della condivisione e della partecipazione. Dopo i sei mesi di stage, in cui ho portato avanti un progetto su Instagram sviluppato durante il summer camp del master, sono stata assunta, e questo mi ripaga ogni giorno di più dei sacrifici fatti fino ad oggi. Adesso mi occupo della comunicazione visiva e strategica degli eventi di Alce Nero: dalla progettazione del materiale grafico fino agli allestimenti, con un focus sulle esperienze relazionali e di networking.

Cosa consigli a uno studente che vorrebbe lavorare nella comunicazione: quali sono le skill e le capacità più utili?

Sicuramente la capacità di sintesi, le tecniche, il sapersi “arrangiare” con i propri strumenti e sapersi destreggiare con quelli che ancora non si conoscono. Ma più di tutto, bisogna saper raccontare una storia, avere dunque la sensibilità per riconoscerla, capirla e poi trasmetterla.

Come ti vedi tra cinque anni? Che cosa ti piacerebbe fare?

Questa è difficile. Posso dire che non riesco ad immaginarmi ferma. In qualsiasi modo lo si voglia interpretare.

 

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Valentina Novembre – Un nuovo approccio con al centro uno sguardo ampio sulle cose

Nuova intervista agli studenti di Relational Design. Chiude il ciclo della seconda edizione Valentina Novembre.

Ci racconti chi sei, di che cosa ti occupi? Qual è il tuo background?
Sono una timida che ha deciso di fare della comunicazione e delle relazioni con gli altri il proprio lavoro.
Laureata in Scienze della Comunicazione, dal 2005 mi occupo di comunicazione d’impresa. Mi muovo tra parole, persone e progetti. Amo raccontare storie, giocare con le parole, fare rete in Rete, costruire ponti e migliorare i flussi.
Preferisco scrivere e non parlare, viaggiare e non stare ferma, sperimentare e non accettare le cose così come sono.
“Perché?” e “Perché no?” sono le domande che mi guidano.
Attualmente lavoro da Spinn – Social People Innovation, agenzia che si occupa di comunicazione digitale, che ho fondato a giugno insieme a due colleghi.

Dopo i 10 moduli/esperienze progettuali del master, qual è la tua definizione di design delle relazioni?
Per me il Relational Design è un nuovo approccio al progetto che mette al centro uno sguardo ampio sulle cose, le relazioni e le interazioni tra persone, metodi e strumenti.

Perché iscriversi al master Relational Design?
Per continuare a porsi domande e a cercare risposte sempre nuove.
Questo Master è la scelta ideale per chi vuole migliorare le proprie capacità relazionali, per chi vuole mettersi alla prova su progetti diversi e per chi non si accontenta di quello che vede ma vuole andare sempre in profondità.

Per me il Master Relational Design è….
Il master è una domanda, continua e incessante.
Un viaggio bellissimo in giro per l’Italia e in se stessi che ti mette alla prova, ti fa guardare le cose con un occhio diverso e ti offre la possibilità di concentrarsi sul senso e sulla visione.

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Alessandro Carlaccini – Tanti stimoli da molte fonti diverse

Quinta intervista agli studenti della seconda edizione di Relational Design. Oggi scopriamo di più su Alessandro Carlaccini.

Ci racconti chi sei, di che cosa ti occupi? Qual è il tuo background?
Abito a Narni, in Umbria, e mi occupo di comunicazione e partecipazione in progetti legati alla cultura, al sociale e al commercio equo solidale. Ho attraversato diversi ambiti: progettazione culturale, produzione artistica, grafica, attività educative, performing art. Ho studiato Comunicazione a Roma e Perugia, Rappresentazione Audiovisiva Multimediale e Progettazione Culturale a Torino. Lavoro con associazioni e piccole realtà indipendenti.
Il progetto che mi appassiona di più tra quelli che seguo è www.iappa.it, una piattaforma di crowdlearning attraverso la quale chiunque può insegnare ed apprendere.
Sono un ottimista cronico, mi piace pensare che il cambiamento reale sia possibile. Cerco di progettare un mondo migliore giorno dopo giorno. 
Può sembrare idealistico, ma sono Capricorno: una persona concreta.

Cosa ti è piaciuto di più del Master?
Il movimento, gli stimoli multiformi, le persone. Per movimento intendo la dinamicità sia fisica che intellettuale: ci si sposta ogni mese, si conoscono realtà diverse, si affrontano materie “mobili” in continuo mutamento.
Gli stimoli  sono tanti e arrivano da molte fonti diverse: dai docenti, dagli incontri, dalla piattaforma online.
Le persone: gli insegnanti, l’organizzazione, i colleghi: universi bellissimi, aperti, pieni di colori e forme strane.

Perché iscriversi al master Relational Design?
Per avere la possibilità di confrontarsi con docenti e professionisti di alto livello.
Per ampliare lo sguardo.
Per mettersi in discussione.
Per sperimentare la collaborazione e raccogliere strumenti di progettazione innovativi.

Per me il Master Relational Design è….
E’ circa un anno che voglio rispondere a questa domanda, mi preparo, ma non sono mai pronto.
Forse Relational Design è proprio questo: prepararsi, cercare una definizione, aggiustare il tiro, reagire agli stimoli, ricercare in profondità, provare diversi punti di vista, essere pronti alla ridefinizione, al cambiamento.

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Candice Barrett – This program pushes you beyond your boundaries

Quarta intervista agli studenti della seconda edizione di Relational Design. Oggi è la volta della nostra studentessa di Chicago, Candice Barrett.

Who are you, what is your background?
My academic background is in Political and International Sciences, however I have always had a keen passion for communication and new media. Born and raised in Chicago, I moved to Italy a few years ago in order to further pursue my studies. Born into a multicultural family, I have always had a particular interest in culture, travel and cuisine. I am also an avid cyclist, trekker and skier.

What course did you like the most?
It is difficult to choose a favorite course as all of the courses for Relational Design are different and thought-provoking in their own way. However, if I had to choose one course that I liked the most, it would have to be the week long summer camp we had in August. The theme was storytelling and we were introduced to the many forms of storytelling and how they have evolved over time. We were fortunate enough to team up with Alce Nero, an organic food company, with the task of projecting a Social Media strategy that aligned with their goals and that also incorporated modern storytelling methods.

Why enroll  the Master Relational Design?
The reasons to study a master in Relational Design are many. The world indeed is constantly mutating, this does not exclude the educational sector. This master is an innovative, practical and dynamic approach to learning about digital media and communications. Communication and digital media has become an ever more important aspect to any business and the skills you learn over a one-year period can prepare you for work in almost any sector. Not only are you introduced to relevant topics within design and new media, but you are taught teamwork and leadership skills, independent and critical thinking and most importantly how to project and communicate ideas.

Relational Design for me is…
For me, Relational Design is growth. This program pushes you beyond your boundaries where you are able to experience new places through travel, new people from all over Italy, new concepts and most of all you grow to become more relational in every aspect.

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Silvana Carbone – Incontrare persone di cui, dopo un anno, non potrai più fare a meno

Terza intervista agli studenti della seconda edizione:  Silvana Carbone.

Ci racconti chi sei, di che cosa ti occupi?  Qual è il tuo background?
Sono un ibrida: geografica, perché nasco e vivo in Sardegna da genitori napoletani; di formazione, perché mi laureo in Ingegneria Edile/Architettura a Cagliari; caratteriale, perché mi piace essere razionale ma anche uscire dagli schemi.
Ho un passato da sportiva, e questo mi ha aiutato a non arrendermi mai di fronte agli ostacoli, e a fare di tutto per portare a casa il risultato.
Come la maggior parte dei trentenni di oggi (e come tutti i supereroi) ho più di una vita lavorativa: sono assistente alla didattica presso la Facoltà di Architettura di Cagliari nel Laboratorio di Progettazione I, per cui do il mio supporto principalmente alla comunicazione e all’elaborazione dei contenuti grafici; mi occupo di grafica e social media per conto di alcune attività; collaboro con una società di service design operante nel settore turistico e commerciale. Ho un occhio attento ai particolari e mi lascio colpire piacevolmente dalla potenza delle immagini, che spesso preferisco sostituire alle parole.

Tre cose che ti sono piaciute del master?
Tre è un numero riduttivo, ma ci proverò. Prima di tutto ho fortemente apprezzato l’approccio dell’imparare facendo, e aggiungerei divertendosi. Le risate sono sempre state un ottimo accompagnamento e una componente fondamentale per l’apprendimento, contribuendo a renderlo spontaneo e stimolante.
La doppia dimensione online e offline è stata speciale e giusta. Ha permesso di consolidare e rafforzare i rapporti costituitesi dentro la nostra comunità, permettendoci di non lasciare le nostre realtà. Il dover fare la valigia ogni mese per rivedersi e applicare le conoscenze apprese durante la dimensione online, ha generato una forte empatia tra tutti noi.
Infine, la capacità di ogni singolo corso e di ogni docente di scatenare curiosità  e di dare numerosi stimoli per il proseguimento del percorso didattico e personale.

Perché iscriversi al Master Relational Design?
Perché non bisogna mai fermarsi, soprattutto di fronte alle certezze. La mia iscrizione risale precisamente ad un anno fa, avevo voglia di fare e semplicemente di avvicinarmi a nuove conoscenze e competenze, di mettermi in gioco.
Iscriversi vuol dire raggiungere questo obiettivo e sentirsi pronti per quello nuovo. Vuol dire entrare in contatto con realtà diverse, con mondi di persone sconosciute di cui dopo un anno non potrai più fare a meno, vuol dire essere un nodo in una rete di relazioni.