Fosca Salvi è una progettista con un background in Comunicazioni Visive e Multimediali. Si occupa di progetti a cavallo tra il digitale e l’analogico, tra social media e formazione da Idlab Studio e cura Lapis, la Social TV della Scuola Superiore d’Arte Applicata di Milano.
1. INTERACTION DESIGN FOR DUMMIES Sei una interaction designer: ti occupi, cioè, delle interazioni uomo-macchina. Dobbiamo immaginarti a caccia di androidi come Harrison Ford in Blade Runner? Direi che il mio lavoro non è esattamente lo stesso dell’agente Deckard, ma se ne vedono comunque di tutti i colori. L’interaction designer si occupa di progettare le interazioni tra un utente (l’umano) e un’interfaccia (la macchina). Questa interfaccia può avere forme e supporti diversi: ho progettato macchine del caffè con schermi 128×64 pixel, macchinari medici di altissima precisione, applicazioni per smartphone che controllavano elettrodomestici e una miriade di siti web. Negli anni il mio lavoro è cambiato molto, da “pixel-pusher” – come definiva i designer un mio collega olandese – sono diventata sempre di più la coordinatrice di progetti a cui lavorano altri “pixel-pusher”.
2. (VIDEO) CONTENT IS KING Tra IG TV, Stories, TikTok, dirette streaming e da poco anche i Reels, da alcuni anni i contenuti video sono diventati i veri protagonisti dei social. Quali cambiamenti o evoluzioni ha portato il lockdown nell’utilizzo delle varie piattaforme? Credo che il cambiamento principale lo si trovi nell’attitudine delle persone ad utilizzare queste piattaforme. Prima del lockdown si facevano una o due videoconferenze alla settimana, tutto il resto erano telefonate “normali” o incontri di persona. Ora se non si fa una chiamata con almeno altre due persone presenti in simultanea ci sembra di non star producendo abbastanza. Durante il periodo di quarantena c’è stato sicuramente un picco di entusiasmo nella fruizione di contenuti video (sia in videocall che in streaming), passavamo il nostro tempo davanti al computer 24 ore su 24. Poi pian piano le persone hanno risentito un po’ di questa sovraesposizione e hanno cercato di ridurre e spendere meglio il tempo passato davanti allo schermo, dedicandosi solo ad attività necessarie o veramente interessanti. Quello che ci è rimasto di questo periodo è però di grande valore: abbiamo capito che non è strettamente necessario recarsi sul luogo di lavoro per lavorare; la formazione ha subito un cambiamento drastico – secondo me in meglio – aprendosi a una moltitudine di nuove possibilità e siamo diventati tutti estremamente puntuali agli appuntamenti 🙂
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3. DO IT YOURSELF Curi Lapis, la Social Tv di SUPER. Che consiglio daresti a chi vuole cimentarsi nella sua prima diretta streaming? Verificare di avere banda! Scherzi a parte, la diretta streaming è un mezzo velocissimo e semplicissimo per condividere ciò che si sta facendo. Se il contenuto è buono, l’unica cosa che a cui si deve prestare attenzione sono i mezzi tecnici a disposizione. È importante avere una buona connessione internet, cavalletto, microfono, una buona illuminazione, un’inquadratura che permetta di vedere in modo chiaro ciò che si sta facendo. Durante il lockdown abbiamo tutti fatto il pieno di lezioni di yoga e di fitness su YouTube: ecco, queste sono proprio l’esempio perfetto, qualità e tecnica altissime! Con Lapis non abbiamo inventato un metodo inedito di fare lezione, ma abbiamo applicato alla pittura e al disegno metodi già rodati in altre discipline. La parte più difficile, nel nostro caso, era il coordinamento dei docenti che, ognuno da casa propria e ognuno con mezzi diversi, doveva trasmettere online i propri saperi mantenendo una una buona qualità del contenuto video.
Il corso Super Social TV si terrà a marzo 2021, in modalità blended con didattica online e con un workshop a Milano, da SUPER, da giovedì 18 a domenica 21. ▶ Scopri di più
Lui è uno stampatore e incisore, molto legato alle tecniche di stampa tradizionali e impegnato nella loro salvaguardia; lei è una designer della comunicazione ed è Art Director dell’Officina Grafica di SUPER, la Scuola Superiore d’Arte Applicata del Castello Sforzesco. Insieme formano un blend perfetto di analogico e digitale: Marco Useli e Mariangela Savoiasono i docenti del workshop Milano Print Makers, in programma dall’11 al 15 dicembre 2019.
Marco, il workshop Milano Print Makers prende il nome dall’associazione di cui fai parte: di cosa si occupa e qual è il tuo ruolo al suo interno? Milano Printmakers è nata innanzitutto per salvaguardare e rilanciare l’incisione e la grafica d’arte attraverso progetti e sperimentazioni capaci di proiettarla nel contemporaneo e nel futuro. Milano Printmakers ha un bagaglio importante legato a due generazioni di stampatori ed editori, motivo per cui rappresenta un punto di riferimento per gli artisti interessati alla grafica d’arte e per chiunque cerchi un servizio professionale di questo tipo a Milano ma non solo. Inoltre abbiamo un forte interesse nella didattica, che coltiviamo con i corsi dedicati a diverse fasce d’età e diversi livelli di esperienza, e questo permette di avere sempre un certo fermento, di intrecciare relazioni, che è poi ciò che rende l’associazione un laboratorio culturale a artistico nel quale è possibile portare avanti il progetto delle residenze durante le quali gli artisti sono chiamati a sviluppare progetti che poi trovano ospitalità nei nostri spazi espositivi.
Come siete entrati in contatto con il mondo dell’editoria? (Mariangela) Come professionista ho un background editoriale: fin da subito, una volta finita l’università, ho lavorato in una casa editrice specializzata in architettura, la Libriadi Melfiin Basilicata. Questa esperienza ha influenzato definitivamente il mio approccio alla progettazione, tanto che ormai lavoro per “ritmi di lettura”. Ho avuto la fortuna di lavorare per una casa editrice relativamente piccola, cosa che mi ha permesso di imparare molto, non solo in ambito strettamente grafico. (Marco) Io provengo dal mondo della stampa tradizionale, nello specifico dalla calcografia, una forma di stampa legata storicamente alle origini dell’editoria e che si sviluppa di pari passo con essa, anche se mi sono appassionato e specializzato soprattutto nell’ambito dei libri d’artista, un prodotto editoriale che coniuga una forte componente artigianale con un progetto artistico e con un intento di comunicazione che va oltre il contenuto ed è molto attento alla forma, con tutte le implicazioni che questo comporta, sia dal punto di vista progettuale che tecnico e realizzativo.
Mariangela, nel 2016 hai fondato Orlo – bookzine di cultura pratica. Di che si tratta? Orlo è un progetto nato del 2016; l’idea era quella di parlare di territori al margine. Ho raccontato di alcune regioni del sud Italia e di alcuni esempi di co-progettazione dal basso. Mi interessava parlare in un certo senso di “errore” e per questo la Risograph mi sembrava la tecnica di stampa più adatta alla sua realizzazione. Ho pubblicato la bookzine anche in digitale, perché mi interessava mettere a confronto due tecniche così lontane. Per certi versi sembrano due prodotti editoriali diversi, pensati per esigenze diverse. Successivamente il progetto è andato avanti sul blog per un po’. Ho scritto diversi articoli inerenti il paesaggio e le migrazioni ed ho preferito pubblicarli online. Al momento sono al lavoro su un secondo numero cartaceo, su cui però preferisco non dare anticipazioni :-). Accanto a questo mi dedico alla legatoria artigianale e alla realizzazione di piccole edizioni, fanzine e taccuini.
Parlando di Risograph, il workshop che terrete a dicembre all’interno del Master Relational Design in partnership con SUPER ha a che fare proprio con questa tecnica. In cosa consiste? (Marco) La Risograph è innanzitutto un riproduttore di stampe a partire da file digitali o di piccole evoluzioni prodotte da scansioni della macchina stessa. Il processo di preparazione è molto simile a quello della più classica serigrafia, nella quale vengono preparati dei livelli da addizionare a registro per la realizzazione di un’immagine. Ciò che la caratterizza e che la rende piuttosto affascinante e divertente è il processo di produzione, molto più comodo e veloce rispetto ad altre tecniche di stampa. Ci si ritrova ad avere una piccola tipografia in poco meno di un metro cubo, con la possibilità di stampare su carte artigianali di varia grammatura con inchiostri ecologici, e matrici realizzate direttamente dalla macchina su carta giapponese. Diciamo che i limiti sono pochi e i vantaggi moltissimi.
(Mariangela) La Risograph è uno strumento per certi versi imprevedibile e per questo, a mio avviso, molto interessante. C’è sempre un margine di errore difficile da indovinare, ed è quello che la rende divertente. Nata come fotocopiatrice a basso costo, è uno strumento riscoperto dai creativi a partire dai primi anni del 2000. Attorno ad essa si è sviluppata una scena internazionale di grafici, illustratori ed editori DIY, affascinati dalla possibilità di stampare piccole edizioni o pezzi unici.
Come credete che il mondo dell’editoria, nello specifico quella creativa, stia cambiando col mutare delle tendenze – fortemente digitalizzate – della comunicazione? (Mariangela) È difficile dare una risposta precisa, perché gli scenari sono molteplici e si intrecciano inevitabilmente. Sicuramente il digitale ha cambiato le modalità di interagire con le informazioni e la loro disponibilità. Penso ai tanti esperimenti di libri interattivi, alcuni molto interessanti. All’altro estremo abbiamo il libro tradizionale; il digitale ne ha in qualche modo abbattuto i costi di produzione e facilitato la sua circolazione. Le tante piccole realtà indipendenti nascono anche grazie alle tecnologie più accessibili. (Marco) Il momento di transizione che investe l’intero sistema della comunicazione richiede sangue freddo e mente lucida. Le possibilità offerte dal digitale hanno portato molti entusiasti a credere che l’editoria su carta fosse destinata all’estinzione, o che tutto si sarebbe trasferito sugli schermi dei telefoni, ovviamente non è così. Troppa immaterialità fa venire voglia di tenere qualcosa tra le mani, di sfogliare le pagine. In un sistema così fluido, in equilibrio precario tra omologazione ed esperienze uniche ma troppo spesso disperse in un mare troppo vasto e troppo ricco, l’editoria creativa può approfittare di alcuni abbattimenti dei costi e di alcuni strumenti che permettono sperimentazioni accessibili sia per il pubblico che per i creatori. La risograph, ad esempio, è uno di questi eccezionali strumenti.
Potreste darci qualche altra anticipazione sul corso? (Mariangela) Durante il corso lavoreremo ad un concept per una piccola edizione da prodursi con la Risograph. Una volta individuato un format narrativo interessante, passeremo allo sviluppo del suo progetto grafico e alla realizzazione dei prototipi. Sarà molto divertente ma sarà necessario il lavoro di squadra. Lavoreremo insieme passando dal digitale all’analogico, curando i contenuti e la grafica della nostra pubblicazione. (Marco) L’obiettivo è quello di mettere gli studenti in condizione di creare un proprio prodotto di micro-editoria. Puntiamo a trasmettere gli elementi essenziali per poter lavorare in modo sicuro e in autonomia con una macchina che è diffusissima in tutto il mondo e con la quale, molto probabilmente, diversi studenti avranno modo di confrontarsi altre volte. Anche per questo lavoreremo su una commessa esterna e daremo molta importanza al lavoro di relazione indispensabile per raggiungere gli obiettivi. Il workshop Milano Print Makers si terrà alla SUPER – Scuola Superiore d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano dall’11 al 15 dicembre 2019.
Per info e iscrizioni scrivi a info@relationaldesign.it
Un passato da antropologa e una naturale inclinazione per le relazioni e le comunità – online e non: Anna Amalfi ha creato @ungiardinograndegrande, un “insta-giardino” digitale e collettivo che, attraverso immagini e brevi video, racconta gli spazi verdi e la loro cura mettendo in connessione utenti da tutto il mondo.
Il progetto sarà al centro del corso Social Gardening, che si terrà a novembre 2019 in collaborazione con SUPER, la Scuola di Arti Applicate del Castello Sforzesco.
Come sei approdata al Master Relational Design? E cosa ti ha lasciato, adesso che la tua esperienza si è conclusa? Nel 2013 mi sono imbattuta online nel MOOC Design1o1, un corso di design online creato da Stefano Mirti. Dopo aver seguito i corsi e partecipato attivamente alla community che si è creata intorno a questo straordinario esperimento, ho collaborato come istruttore – con un particolare interesse al community management – a Design1o1 Redux e ho deciso di frequentare il master per completare questo percorso. Guardando a ritroso, questa è stata la prima lezione del master, prima ancora che iniziasse: investire tempo ed energia nelle relazioni prima di tutto. Ogni modulo di Relational Design per me è stato come un puzzle, in cui dover trovare almeno una chiave comune (si lavora sempre in squadra!) per risolvere un gioco di relazioni sottili, che inizia proprio dalle persone con cui si lavora, poi va online, poi si prova a mettere su delle storie, dei processi e (se va bene) questi finiscono per trasformare anche le cose, le cose del mondo reale intendo. Questo continuo movimento online/offline è la parte più delicata e divertente della cosa: il gioco, il balletto. Almeno per me è stato così.
Il tuo progetto di tesi @ungiardinograndegrande coniuga la cura di uno spazio verde alla sua condivisione su una community digitale: com’è nata l’idea e come si è evoluta nel corso del tempo? L’idea è di Stefano Mirti, che mi ha chiesto di documentare ogni giorno, per 365 giorni, la nascita e lo sviluppo di un giardino siciliano. Ho scelto come strumento le storie di instagram perché le trovo molto divertenti. Casualmente ho un piccolissimo giardino sotto casa quindi ho iniziato da lì: osservando la vita del giardino, facendo ogni giorno una foto e aggiungendo grazie agli stickers alcune informazioni che rendessero conto del luogo dove mi trovo, del passare del tempo, del clima, delle mie emozioni anche o semplicemente di cose che mi passavano per la mente mentre sto in giardino o quando penso al giardino ma mi trovo in altri posti. Poi altre amiche di instagram, conosciute sempre grazie a Design1o1, hanno iniziato a fare lo stesso ed è venuto fuori questo insta-giardino collettivo, che ha un profilo dedicato e una squadra formidabile di giardiniere che ogni giorno selezionano le foto dei più bei giardini del mondo per il feed, mentre raccontano attraverso le storie di instagram il loro spazio verde: Italia, Croazia, Regno Unito, Svizzera, India, Russia, Germania, Australia… tutte queste #gardenstories vengono ripostate ogni giorno dal giardino, come fossero momenti diversi nella giornata di un unico giardino, grande grande, condiviso e diffuso, il cui fine ultimo è incoraggiare le persone a prendersi cura degli spazi verdi, dalla pianta sul balcone, al giardino di comunità del proprio quartiere. O crearne uno magari, non fosse altro che per avere buon materiale per le proprie #gardenstories!
In che modo le nuove tendenze della comunicazione digitale possono veicolare – o plasmare – pratiche ritenute tradizionali, come il giardinaggio? E qual è il loro impatto? Mamma mia che domanda difficile! In generale direi che la possibilità di raggiungere un numero impressionante di persone, senza limiti geografici, in tempo zero, con costi minimi e usando l’inglese come lingua franca, costituisce un discreto vantaggio evolutivo rispetto a chi faceva la stessa cosa anche soltanto dieci anni fa. Inoltre i costi bassi consentono di sperimentare senza troppi patemi d’animo, e anche questo lascia una certa libertà di azione. Con queste premesse diventa semplice trovare persone affini che abbiano voglia di collaborare, perché si sa che da soli non si arriva mai, ci si può anche annoiare parecchio strada facendo. Inoltre dai gruppi emerge un valore “X” che è superiore alla somma delle parti ed è quello che fa la differenza. E questo, nella mia esperienza, è stato fondamentale. Mi sembra che su Instagram una discreta parte dei contenuti che funzionano abbiano come fondamento un saper fare, che è il fondamento delle pratiche cosiddette tradizionali: la cucina, l’illustrazione, la ceramica… Per quanto riguarda il giardinaggio, i giardini sono per loro natura luoghi un po’ speciali, luoghi di relazioni, luoghi dell’immaginario: hanno le radici sulla terra ma poi vivono sempre anche da qualche altra parte, nei miti, negli affreschi, nella letteratura quindi, con la doverosa umiltà, forse ha senso pensare che possano vivere e prosperare anche su Instagram, che non è nient’altro che un medium, un canale, quello che usiamo oggi. In tre mesi, senza spendere un centesimo, abbiamo ottenuto la fiducia di diecimila persone che ci seguono, ogni giorno una media di tre-quattromila persone regala un cuoricino ai nostri post, il 10% di queste segue quotidianamente le nostre storie. Ogni volta che qualcuno ci regala la propria garden story sappiamo che esiste una persona in più al mondo che vuole contribuire attivamente a diffondere l’osservazione, l’amore e la cura per gli spazi verdi e per il pianeta. Adesso facciamo un salto indietro nel tempo e vi racconto una storia. Vita Sackville West, poetessa, giardiniera, nota anche per la relazione con Virginia Woolf, per quindici anni a metà del ‘900 ha tenuto una rubrica settimanale di giardinaggio sull’Observer in cui raccontava del suo giardino nella tenuta di Sissinghurst. Offriva consigli e scambiava semi con i lettori, ma soprattutto creava e intratteneva relazioni umane a partire da quello che amava: il suo giardino. E i lettori poi diventavano visitatori paganti nel giardino di Sissingursth (operazione abbastanza inconsueta al tempo), dove magari andavano in cerca di ispirazione per i propri giardini, e così Vita riusciva a mantenere il giardino e contemporaneamente a diffondere l’amore per questa pratica tradizionale così importante per il benessere della terra, degli uomini, dell’ecosistema. Adesso provate un po’ a trovare le differenze 🙂
Puoi darci qualche anticipazione sul modulo Social Gardening, che si terrà a novembre 2019 in collaborazione con SUPER, la Scuola Superiore d’Arte Applicata del Castello Sforzesco? Social Gardening è un esperimento: curare un giardino e far crescere una community, nello stesso modo e nello stesso tempo. Con le due insegnanti SUPER (in tutti i sensi) Cecilia Marra – illustratrice botanica e insegnante – e Francesca Dainotto – landscape designer ed esperta in giardini collettivi – proveremo a dare una risposta pratica: dal momento che ci sembra che giardini e communities seguano dinamiche simili, dall’attenzione alla pratica costante, dallo spazio necessario alla cura fino ad un istinto che non va mai trascurato, seguiremo gli stessi passi per far crescere con i nuovi studenti una community e i bei giardini dentro della scuola SUPER. Sarà un corso ibrido in cui si incontrano e si combinano le sapienze tradizionali del giardinaggio e delle pratiche di comunità con i linguaggi tecnici dei nuovi media: useremo la terra, i semi, le metafore, l’acquarello, alcune tecniche di progettazione, gli stickers, i video, le app e andremo in giro per Milano per conoscere dei giardini molto speciali e le persone che ci lavorano, poi racconteremo tutto sui social media, sarà una storia collettiva che, nelle nostre intenzioni almeno, aiuterà a saper stare bene e a proprio agio sulla terra e in comunità, online e offline.